La geometria articolare, in altre parole la morfologia delle superfici articolari, da origine alla possibilità di un’articolazione di esprimere il movimento in un modo piuttosto che in un altro. L’articolazione omero-ulnare ad esempio, è definita geometricamente in maniera tale da poter consentire esclusivamente* movimenti di flesso-estensione attorno ad un asse trasversale e su di un piano sagittale, la tibio-tarsica, allo stesso modo, consente all’astragalo di sviluppare solo movimenti di flesso-estensione e nessun movimento di abduzione-adduzione o di rotazione assiale.
Questo accade però solo nelle articolazioni con una geometria molto precisa, in cui i due capi articolari sono l’uno il complementare dell’altro.
Nella maggior parte delle articolazioni invece, le incongruenze articolari tra i due capi, sono la norma. Basta pensare alla scapolo-omerale (una superficie sferica a contatto di una quasi piana), alla femoro-tibiale (dove il condilo esterno convesso è a contatto con una superficie tibiale anch’essa convessa), alle metacarpo-falangee, alla radio-carpica e così via.
In questi casi, la sola guida articolare offerta della geometria ossea, non è sufficiente ad un’esecuzione precisa dei movimenti. E’ corretto allora definire che esiste un secondo meccanismo atto a far sì che il movimento si esprima in un modo piuttosto che in un altro. Questo secondo meccanismo, altro non è che la guida muscolare.
Non è possibile immaginare infatti che la muscolatura sia organizzata solo ed esclusivamente per realizzare la parte concentrica dei movimenti. Durante la messa in movimento di un’articolazione, sappiamo che i muscoli agonisti (responsabili del movimento) si contraggono in contrazione concentrica mentre quelli antagonisti, si lasceranno distendere. Questa definizione non è del tutto corretta.
Innanzitutto, per precisione, dobbiamo affermare che non sempre i muscoli agonisti sono quelli che si contraggono concentricamente. Per esempio, durante un piegamento, sappiamo che i muscoli agonisti saranno gli estensori con la loro contrazione eccentrica mentre gli antagonisti saranno i flessori che in quel momento si lasciano allungare.
In secondo luogo, non è corretto affermare che la muscolatura antagonista, durante un movimento, si lascia allungare passivamente. Più spesso infatti, assistiamo ad una contrazione eccentrica di questi gruppi muscolari capace di guidare l’articolazione durante il suo movimento.
Se pensiamo alle redini di un cavallo, un conto è mettere in tensione una delle due lasciando l’altra in bando e un conto sarà mettere in tensione una delle due lasciano l’altra poco per volta, generando una guida della testa del cavallo più precisa ed organizzata.
Questo è quello che accade nell’organizzazione del movimento umano a tutti i livelli. Quando questo non accade, l’articolazione andrà inevitabilmente incontro ad una sofferenza da sovraccarico funzionale che altro non è un sovraccarico definito dalla cattiva organizzazione degli elementi che generano e controllano il movimento.
Sappiamo per esempio che il ginocchio, durante i suoi movimenti di flesso-estensione, lascia scivolare i condili del femore all’indietro durante la flessione e in avanti durante l’estensione.
Questo meccanismo trascina con se i menischi che seguono intimamente i movimenti dei condili, guidati dai legamenti e dalle azioni muscolari. Ecco perché uno squilibrio tonico tra flessori ed estensori, può generare un sovraccarico funzionale a livello dei menischi o dell’articolazione femoro-rotulea. Ecco perché nel caso per esempio di una rottura legamentosa, non è sufficiente pensare a potenziare i muscoli periferici solo per generare un rinforzo muscolare statico. Ciò che più è importante è riuscire a sensibilizzare i muscoli nella loro azione di guida del movimento. Questo spesso si ottiene allenando la forza, ma soprattutto generando un meccanismo di sensibilizzazione propriocettiva di questi muscoli. Nel caso specifico del ginocchio, per esempio, una rottura del legamento crociato anteriore avrà come risultato quello di non poter più limitare lo scivolamento (cassetto) anteriore dei condili sul piatto tibiale. Rinforzare il quadricipite, avrà lo scopo di creare un rinforzo attivo anteriore, ma sarà la stimolazione dei muscoli flessori a far si che durante l’estensione, questi con la loro guida eccentrica impediscano ai condili di scivolare in avanti in maniera eccessiva.
Non dobbiamo però pensare che quanto detto sia valido ed applicabile solo quando viene a perdersi l’anatomia come nel caso di una rottura legamentosa. L’esempio riportato consente solo di rendere più evidente ciò che, quando l’anatomia è conservata e non vi sono algie particolari, risulta più difficile da osservare.
Sempre le articolazioni sono in balia delle azioni muscolari e se vogliamo far sì che queste articolazioni si mantengano a lungo efficienti, sarà necessario educare la muscolatura a guidare i segmenti scheletrici durante i movimenti. Sotto questa luce risulta evidente l’importanza dell’azione del gioco tra la muscolatura agonista ed antagonista che, se vogliamo, sotto questo aspetto mostra caratteri di sinergia.
*In realtà sono presenti micro movimenti di adduzione e abduzione specialmente durante la prono-supinazione.
martedì 1 dicembre 2009
lunedì 16 novembre 2009
Camminare in discesa
Beh, innanzi tutto possiamo dire che è meno faticoso che camminare in salita e già questa informazione vale la lettura di questa elucubrazione. Ma come si può rendere il cammino in discesa veramente efficace?
Per molte persone il cammino in discesa è un vero e proprio test di abilità, specialmente se il terreno su cui ci si muove è disomogeneo come accade per esempio in montagna.
La difficoltà a scendere un pendio dipende in prima istanza dal fatto che il terreno si trova al di sotto dei nostri piedi... e come potrebbe essere diversamente? Beh, se ci pensate, quando camminiamo in salita il terreno si trova al di sopra dei nostri piedi... ok, provo a spiegarmi meglio: in salita i passi non sono altro che una successione di prese al suolo in cui i piedi si spostano verso l'alto. Il secondo passo appoggerà su una superficie più in alto rispetto al primo e così via così come accade quando si sale una scalinata. Al contrario, in discesa le superfici di appoggio saranno, ad ogni passo, più basse rispetto all'appoggio del piede che ci sostiene.
Questo genera nel soggetto una sorta di apprensione dovuta al fatto che il suolo è, anche se di pochi centimetri in funzione della pendenza del pendio, distante da noi. Il soggetto che si trova in questa situazione, applica una strategia per scendere che è quanto di meno economico e disorganizzato possa esistere in ambito deambulatorio: l'appoggio precede la verticale del baricentro. Facciamo un passo indietro.
Quando si cammina in piano e ancora di più quando si corre, il nostro corpo, sbilanciato in avanti perde momentaneamente l'equilibrio. La verticale del baricentro corporeo cade, per un istante, al di fuori della nostra base di appoggio data dal poligono che inscrive i nostri punti di contatto con il suolo che normalmente sono i nostri piedi. L'equilibrio è presto ripristinato con lo spostamento di un arto nella direzione di avanzamento del baricentro così da creare una nuova base d'appoggio sotto alla verticale di questo. Secondo questa spiegazione il baricentro anticipa la base d'appoggio. Nella deambulazione in discesa, quello che accade è esattamente il contrario: il soggetto allunga il passo in avanti mantenendo fermo il suo tronco e quindi il suo baricentro. Ecco perchè dicevo che l'appoggio precede la verticale del baricentro. Il passo diventa goffo e antieconomico. Inoltre sarà fisicamente inefficace perchè la forza peso tenderà a scaricarsi verticalmente ma, trattandosi di un piano inclinato, si genererà un angolo tra la forza peso esercitata e la base di appoggio. Questo puo' provocare uno scivolamento anteriore tanto più possibile quanto meno sarà coerente il tipo di materiale del percorso.
Per ottimizzare il passo in discesa quindi, è necessario far avanzare il baricentro prima della base di appoggio. In questo modo la forza peso avrà una direzione che sarà più perpendicolare al pendio riducendo la possibilità di scivolamento. Inoltre la discesa sarà più economica poichè farà un uso migliore dell'energia potenziale tipica di una passeggiata in discesa.
Su terreni molto incoerenti come in presenza di pietre grossolane, la tecnica appena descritta può risultare però pericolosa in quanto tende ad accelerare la velocità generale di avanzamento anche se in realtà questo accade solo su pendenze molto accentuate e se non si padroneggia adeguatamente la tecnica. Un altro metodo, in questo caso, è quello di avanzare con base di appoggio e baricentro simultaneamente. Questo è possibile attraverso il piegamento dell'arto di sostegno mentre il piede che avanza cerca un nuovo appoggio vicino a noi così da non lasciare il baricentro indietro. La contrazione eccentrica dei muscoli antigravitari ci porterà più vicini al nuovo contatto. Ciò che pero' non deve essere fatto è di piegare l'arto di sostegno portando poi eccessivamente avanti l'arto che va a cercare il nuovo contatto. In questo modo si compirebbe lo stesso errore evidenziato in precedenza: l'appoggio precederebbe il baricentro.
La porssima volta che andrete in montagna a funghi o a raccogliere le castagne, provate e poi... fatemi sapere.
Per molte persone il cammino in discesa è un vero e proprio test di abilità, specialmente se il terreno su cui ci si muove è disomogeneo come accade per esempio in montagna.
La difficoltà a scendere un pendio dipende in prima istanza dal fatto che il terreno si trova al di sotto dei nostri piedi... e come potrebbe essere diversamente? Beh, se ci pensate, quando camminiamo in salita il terreno si trova al di sopra dei nostri piedi... ok, provo a spiegarmi meglio: in salita i passi non sono altro che una successione di prese al suolo in cui i piedi si spostano verso l'alto. Il secondo passo appoggerà su una superficie più in alto rispetto al primo e così via così come accade quando si sale una scalinata. Al contrario, in discesa le superfici di appoggio saranno, ad ogni passo, più basse rispetto all'appoggio del piede che ci sostiene.
Questo genera nel soggetto una sorta di apprensione dovuta al fatto che il suolo è, anche se di pochi centimetri in funzione della pendenza del pendio, distante da noi. Il soggetto che si trova in questa situazione, applica una strategia per scendere che è quanto di meno economico e disorganizzato possa esistere in ambito deambulatorio: l'appoggio precede la verticale del baricentro. Facciamo un passo indietro.
Quando si cammina in piano e ancora di più quando si corre, il nostro corpo, sbilanciato in avanti perde momentaneamente l'equilibrio. La verticale del baricentro corporeo cade, per un istante, al di fuori della nostra base di appoggio data dal poligono che inscrive i nostri punti di contatto con il suolo che normalmente sono i nostri piedi. L'equilibrio è presto ripristinato con lo spostamento di un arto nella direzione di avanzamento del baricentro così da creare una nuova base d'appoggio sotto alla verticale di questo. Secondo questa spiegazione il baricentro anticipa la base d'appoggio. Nella deambulazione in discesa, quello che accade è esattamente il contrario: il soggetto allunga il passo in avanti mantenendo fermo il suo tronco e quindi il suo baricentro. Ecco perchè dicevo che l'appoggio precede la verticale del baricentro. Il passo diventa goffo e antieconomico. Inoltre sarà fisicamente inefficace perchè la forza peso tenderà a scaricarsi verticalmente ma, trattandosi di un piano inclinato, si genererà un angolo tra la forza peso esercitata e la base di appoggio. Questo puo' provocare uno scivolamento anteriore tanto più possibile quanto meno sarà coerente il tipo di materiale del percorso.
Per ottimizzare il passo in discesa quindi, è necessario far avanzare il baricentro prima della base di appoggio. In questo modo la forza peso avrà una direzione che sarà più perpendicolare al pendio riducendo la possibilità di scivolamento. Inoltre la discesa sarà più economica poichè farà un uso migliore dell'energia potenziale tipica di una passeggiata in discesa.
Su terreni molto incoerenti come in presenza di pietre grossolane, la tecnica appena descritta può risultare però pericolosa in quanto tende ad accelerare la velocità generale di avanzamento anche se in realtà questo accade solo su pendenze molto accentuate e se non si padroneggia adeguatamente la tecnica. Un altro metodo, in questo caso, è quello di avanzare con base di appoggio e baricentro simultaneamente. Questo è possibile attraverso il piegamento dell'arto di sostegno mentre il piede che avanza cerca un nuovo appoggio vicino a noi così da non lasciare il baricentro indietro. La contrazione eccentrica dei muscoli antigravitari ci porterà più vicini al nuovo contatto. Ciò che pero' non deve essere fatto è di piegare l'arto di sostegno portando poi eccessivamente avanti l'arto che va a cercare il nuovo contatto. In questo modo si compirebbe lo stesso errore evidenziato in precedenza: l'appoggio precederebbe il baricentro.
La porssima volta che andrete in montagna a funghi o a raccogliere le castagne, provate e poi... fatemi sapere.
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deambulazione equilibrio cammino discesa
lunedì 26 ottobre 2009
Esercizi cattivi ed esercizi buoni
E' comune sentir parlare di esercizi magnifici e miracolosi ma ancora più comune è sentir parlare di esercizi "cattivi".
La fisiologia articolare e la biomeccanica ci guidano nella ricerca dell'esercizio migliore per quel soggetto, in quel momento, in quello spazio. Secondo questo principio, non esistono esercizi buoni ed esercizi cattivi. Semmai esistono insegnanti (o se preferite istruttori) buoni e insegnanti cattivi (Pivetta).
Se preferite: tutto è medicina e niente è medicina, è il dosaggio che conta.
La fisiologia articolare e la biomeccanica ci guidano nella ricerca dell'esercizio migliore per quel soggetto, in quel momento, in quello spazio. Secondo questo principio, non esistono esercizi buoni ed esercizi cattivi. Semmai esistono insegnanti (o se preferite istruttori) buoni e insegnanti cattivi (Pivetta).
Del resto già Paracelso ai primi del 1500 diceva:
"Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit".
"Tutto è veleno, nulla esiste che non sia veleno. Solo la dose fa, dato che il veleno non fa [nulla].Se preferite: tutto è medicina e niente è medicina, è il dosaggio che conta.
Atlante anatomico online
Anche se nono si può dire che si tratti proprio di un'elucubrazione, vi segnalo una cosetta molto interessante.
Per chi ha una connessione internet veloce, è disponibile online un atlante di Anatomia Umana con modelli 3D molto ben fatto e completamente gratuito... per i primi 7 giorni. Eh già, dopo tale periodo dovrete pagarlo però ne vale veramente la pena.
Lo trovate a questo indirizzo:
http://www.visiblebody.com/start
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Lo trovate a questo indirizzo:
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Presentazione
C'era bisogno di un blog sulle Scienze Motorie? Naturalmente no!!!
E' sufficiente una breve consultazione attraverso un qualsiasi motore di ricerca per rendersi conto che il web è già costellato di siti sul fitness, personal trainer, forum, associazioni di categoria e l'elenco non finisce certo qui.
Allora cosa vuole rappresentare questo blog? L'ennesimo tentativo di mettere in rete informazioni utili (???) agli interessati o l'espressione di un ego troppo esibizionista per restarsene nascosto dietro le tende della propria insicurezza? Mi auguro che la risposta non sia in nessuna delle due possibilità.
Nel primo caso non avrei niente di nuovo da dire in un panorama già più che affollato, nel secondo la soddisfazione di autoreferenziarsi mal si coniuga con l'utilizzo del termine "elucubrazione" che per definizione è una riflessione lunga e meditata che ruota attorno ad un'opera dell'ingegno. Questo è ciò che si può trovare sul dizionario Hoepli ma anche su altri vocabolari.
Raccogliere i risultati delle proprie elucubrazioni mi sembrava il modo migliore per evitare che le idee ed i pensieri si schiantassero nel vuoto, con la memoria come unica rete di sicurezza. Troppo labile nel mio caso e troppo sola per potersi avvantaggiare di un confronto con altri colleghi o semplicementi con altri "elucubratori".
Non aspettatevi però aggiornamenti troppo frequenti... l'elucubrazione arriva quando arriva.
E' sufficiente una breve consultazione attraverso un qualsiasi motore di ricerca per rendersi conto che il web è già costellato di siti sul fitness, personal trainer, forum, associazioni di categoria e l'elenco non finisce certo qui.
Allora cosa vuole rappresentare questo blog? L'ennesimo tentativo di mettere in rete informazioni utili (???) agli interessati o l'espressione di un ego troppo esibizionista per restarsene nascosto dietro le tende della propria insicurezza? Mi auguro che la risposta non sia in nessuna delle due possibilità.
Nel primo caso non avrei niente di nuovo da dire in un panorama già più che affollato, nel secondo la soddisfazione di autoreferenziarsi mal si coniuga con l'utilizzo del termine "elucubrazione" che per definizione è una riflessione lunga e meditata che ruota attorno ad un'opera dell'ingegno. Questo è ciò che si può trovare sul dizionario Hoepli ma anche su altri vocabolari.
Raccogliere i risultati delle proprie elucubrazioni mi sembrava il modo migliore per evitare che le idee ed i pensieri si schiantassero nel vuoto, con la memoria come unica rete di sicurezza. Troppo labile nel mio caso e troppo sola per potersi avvantaggiare di un confronto con altri colleghi o semplicementi con altri "elucubratori".
Non aspettatevi però aggiornamenti troppo frequenti... l'elucubrazione arriva quando arriva.
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