martedì 1 dicembre 2009

La guida articolare

La geometria articolare, in altre parole la morfologia delle superfici articolari, da origine alla possibilità di un’articolazione di esprimere il movimento in un modo piuttosto che in un altro. L’articolazione omero-ulnare ad esempio, è definita geometricamente in maniera tale da poter consentire esclusivamente* movimenti di flesso-estensione attorno ad un asse trasversale e su di un piano sagittale, la tibio-tarsica, allo stesso modo, consente all’astragalo di sviluppare solo movimenti di flesso-estensione e nessun movimento di abduzione-adduzione o di rotazione assiale.
Questo accade però solo nelle articolazioni con una geometria molto precisa, in cui i due capi articolari sono l’uno il complementare dell’altro.
Nella maggior parte delle articolazioni invece, le incongruenze articolari tra i due capi, sono la norma. Basta pensare alla scapolo-omerale (una superficie sferica a contatto di una quasi piana), alla femoro-tibiale (dove il condilo esterno convesso è a contatto con una superficie tibiale anch’essa convessa), alle metacarpo-falangee, alla radio-carpica e così via.
In questi casi, la sola guida articolare offerta della geometria ossea, non è sufficiente ad un’esecuzione precisa dei movimenti. E’ corretto allora definire che esiste un secondo meccanismo atto a far sì che il movimento si esprima in un modo piuttosto che in un altro. Questo secondo meccanismo, altro non è che la guida muscolare.
Non è possibile immaginare infatti che la muscolatura sia organizzata solo ed esclusivamente per realizzare la parte concentrica dei movimenti. Durante la messa in movimento di un’articolazione, sappiamo che i muscoli agonisti (responsabili del movimento) si contraggono in contrazione concentrica mentre quelli antagonisti, si lasceranno distendere. Questa definizione non è del tutto corretta.
Innanzitutto, per precisione, dobbiamo affermare che non sempre i muscoli agonisti sono quelli che si contraggono concentricamente. Per esempio, durante un piegamento, sappiamo che i muscoli agonisti saranno gli estensori con la loro contrazione eccentrica mentre gli antagonisti saranno i flessori che in quel momento si lasciano allungare.
In secondo luogo, non è corretto affermare che la muscolatura antagonista, durante un movimento, si lascia allungare passivamente. Più spesso infatti, assistiamo ad una contrazione eccentrica di questi gruppi muscolari capace di guidare l’articolazione durante il suo movimento.
Se pensiamo alle redini di un cavallo, un conto è mettere in tensione una delle due lasciando l’altra in bando e un conto sarà mettere in tensione una delle due lasciano l’altra poco per volta, generando una guida della testa del cavallo più precisa ed organizzata.
Questo è quello che accade nell’organizzazione del movimento umano a tutti i livelli. Quando questo non accade, l’articolazione andrà inevitabilmente incontro ad una sofferenza da sovraccarico funzionale che altro non è un sovraccarico definito dalla cattiva organizzazione degli elementi che generano e controllano il movimento.
Sappiamo per esempio che il ginocchio, durante i suoi movimenti di flesso-estensione, lascia scivolare i condili del femore all’indietro durante la flessione e in avanti durante l’estensione.
Questo meccanismo trascina con se i menischi che seguono intimamente i movimenti dei condili, guidati dai legamenti e dalle azioni muscolari. Ecco perché uno squilibrio tonico tra flessori ed estensori, può generare un sovraccarico funzionale a livello dei menischi o dell’articolazione femoro-rotulea. Ecco perché nel caso per esempio di una rottura legamentosa, non è sufficiente pensare a potenziare i muscoli periferici solo per generare un rinforzo muscolare statico. Ciò che più è importante è riuscire a sensibilizzare i muscoli nella loro azione di guida del movimento. Questo spesso si ottiene allenando la forza, ma soprattutto generando un meccanismo di sensibilizzazione propriocettiva di questi muscoli. Nel caso specifico del ginocchio, per esempio, una rottura del legamento crociato anteriore avrà come risultato quello di non poter più limitare lo scivolamento (cassetto) anteriore dei condili sul piatto tibiale. Rinforzare il quadricipite, avrà lo scopo di creare un rinforzo attivo anteriore, ma sarà la stimolazione dei muscoli flessori a far si che durante l’estensione, questi con la loro guida eccentrica impediscano ai condili di scivolare in avanti in maniera eccessiva.
Non dobbiamo però pensare che quanto detto sia valido ed applicabile solo quando viene a perdersi l’anatomia come nel caso di una rottura legamentosa. L’esempio riportato consente solo di rendere più evidente ciò che, quando l’anatomia è conservata e non vi sono algie particolari, risulta più difficile da osservare.
Sempre le articolazioni sono in balia delle azioni muscolari e se vogliamo far sì che queste articolazioni si mantengano a lungo efficienti, sarà necessario educare la muscolatura a guidare i segmenti scheletrici durante i movimenti. Sotto questa luce risulta evidente l’importanza dell’azione del gioco tra la muscolatura agonista ed antagonista che, se vogliamo, sotto questo aspetto mostra caratteri di sinergia.


*In realtà sono presenti micro movimenti di adduzione e abduzione specialmente durante la prono-supinazione.