martedì 9 novembre 2010

La questione dello zaino.

Da anni si discute di quanto lo zaino scolastico possa essere considerato un sovraccarico perturbante a carico del rachide dei giovani scolari. Scoliosi, ipercifosi, atteggiamenti, paramorfismi e dismorfismi rappresentano il principale interesse di coloro i quali si occupano di decidere il destino dei libri di studio.
Una sera, mentre mi trovavo tra colleghi a conversare su questo argomento, venne presentato uno studio in cui si considerava l'effetto dello zaino trasportato dagli scout durante i loro trasferimanti.
Non fu tanto lo studio in se a destare il mio interesse, più che altro un pensiero parallelo che da origine a questa elucubrazione: è possibile mettere a confronto un gruppo di scout con un gruppo di scolari? Partendo dal presupposto che la popolazione osservata sia omogenea come caratteristiche sia nei due gruppi che tra i due gruppi, possiamo stabilire con certezza che non esistono altre variabili da tenere in considerazione?
Se è vero che lo zaino trasportato dagli scout potrebbe anche essere identico a quello trasportato dagli scolari, quello che non è sicuramente identico è l'atteggiamento utilizzato percompiere il gesto mtorio necessario.
Siamo infatti di fornte a due situazioni differenti.
La situazione dello scolaro: cronica e quindi inconsapevole
La situazione dello scout: acuta e quindi organizzata.
La ripetitività di un gesto porta alla sua automazione, l'automazione porta all'assuefazione, l'assuefazione porta, spesso, al sovraccarico.
Non è infatti il peso dello zaino in quanto tale a definire da solo lo stress bensì, soprattutto, l'atteggiamento motorio attivo o passivo che ne può determinare la sua relativa riduzione o amplificazione. Un atteggiamento attivo è tale quando all'applicazione di un carico il corpo reagisce con una risposta organizzata che richiede un certo investimento energetico riconducibile ad una serie di contrazioni muscolari. Viceversa un atteggiamento passivo lascia che siano le strutture non contrattili ad assorbire il carico (ossa, legamenti e articolazioni) determinando un atteggiamento meno dispendioso dal punto di vista energetico ma spesso disastroso dal punto di vista del benessere.
L'evento acuto, rappresenta per lo scout (che si presuppone che non trasporti lo zaino tutti i giorni per tutto l'anno come accade per lo scolaro) una novità, novità molto probabilmente accolta positivamente anche dal punto di vista umorale il che amplifica la risposta organizzata di cui sopra.

mercoledì 3 marzo 2010

Flessione e piegamento, la vexata qauestio

Quando si pensa alle flessioni, nell'immaginario collettivo l'esercizio che viene alla mente è quello che qualcuno tecnicamente definisce con il termine di "push up" (flessioni sulle braccia). Qualche istruttore zelante però, si affretta subito a precisare che in realtà l'esercizio in questione si dovrebbe definire "piegamenti sulle braccia" e non flessioni; ma perché? Ecco allora le motivazioni più assurde e disparate. Qualcuno dirà che si tratta di piegamento perché il movimento avviene in appoggio, altri diranno che se fosse una flessione il baricentro corporeo dovrebbe rimanere fermo ma ammesso che queste definizioni siano corrette, quale significato spiegano? Una definizione prende senso e ragione di essere nel momento in cui vi è una necessità metodologica e nelle definizioni fin qui descritte pare non ve ne sia. Inoltre queste definizioni non sono esaustive poiché danno luogo a contraddizioni evidenti.
Se fosse vera la teoria del baricentro, le trazioni alla sbarra dovrebbero essere dei piegamenti visto che il baricentro si muove ma mi pare evidente che si tratta invece di flessioni: i muscoli utilizzati sono infatti i flessori. Se fosse vera la teoria dell'appoggio, un braccio disteso sopra alla testa con il gomito che si piega portando la mano verso il capo (come si fa nell'esercizio per gli estensori dell'avambraccio), dovrebbe essere definito flessione mentre invece si tratta di un piegamento. Quale criterio quindi utilizzare? Dicevo che il concetto deve avere una giustificazione metodologica. Questa giustificazione è legata al tipo di contrazione muscolare utilizzata e se i gruppi muscolari agonisti sono flessori o estensori.


Vediamo quindi di definire in modo razionale una linea guida.
Se i muscoli usati sono flessori, mi pare evidente che saremo davanti ad una flessione a patto che questi siano interessati in contrazione concentrica. Se invece a contrarsi in contrazione concentrica saranno i muscoli estensori, saremo davanti ad una estensione. Fino a qui mi pare tutto abbastanza semplice: flessione per i flessori, estensione per gli estensori.
Veniamo ora al piegamento: questo prevede l'utilizzo della muscolatura estensoria ma in contrazione eccentrica. Quando invece sono i muscoli flessori a lavorare in contrazione eccentrica, saremo di fronte a quella che viene definita distensione.
Capiamo bene che in questo modo con un solo termine, flessione, piegamento, estensione o distensione, definiamo il gruppo muscolare e la modalità di contrazione.
Come sostengo sempre, il linguaggio definisce il professionista quindi, mai più flessione e piegamento al posto sbagliato.

giovedì 28 gennaio 2010

La sindrome femoro-rotulea

La sindrome femoro-rotulea è caratterizzata da una algia in sede retrorotulea più spesso localizzata sul versante laterale della troclea femorale.

Dal punto di vista motorio, viene generalmente trattata attraverso una terapia fisica basata sul potenziamento della muscolatura della loggia anteriore della coscia (tradizionalmente iniziando con esercizi in catena cinetica chiusa e successivamente aperta) e in particolare tentando di coinvolgere le fibre muscolari del vasto mediale, con il tentativo di generare una componente sbandante diretta in senso mediale in grado di contrastare l’azione lussante che viene ad applicarsi sulla rotula durante la contrazione del muscolo quadricipite. L'angolo di valgismo fisiologico presente a livello del ginocchio infatti, fa si che la contrazione del quadricipite generi una componente laterale. Questa, se non contenuta da un versante laterale della troclea femorale sufficientemente prominente, può addirittura arrivare a dislocare la rotula al di fuori della sua sede.
L'elucubrazione di questo articolo, prende come presupposto l’ipotesi che lo sbandamento della rotula (quando non caratterizzato da un importante insufficiente contenimento anatomico del versante laterale della troclea -displasia-) non dipenda da una carenza dell’attivazione del vasto mediale ma, paradossalmente, da un’insufficiente componente di coattazione diretta posteriormente.
Questa minor componente potrebbe derivare da un micro slittamento anteriore della tibia durante il meccanismo di flessione o piegamento dovuto dall’insufficienza dei muscoli flessori della coscia. La riduzione di questa componente posteriore potrebbe essere all’origine dall’aumentata tendenza della rotula di andarsi ad appoggiare più lateralmente generando un conflitto articolare femoro-rotuleo in sede laterale.
E' innegabile rilevare che questo ragionamento va esattamente in senso opposto a quanto tradizionalmente inteso: la sidrome femoro-rotulea viene vista non come un eccesso di compressione ma come una carenza di compressione. Più precisamente direi una carenza di compressione organizzata perchè è evidente che una compressione non organizzata porta inevitabilmente ad una degradazione dei tessuti.

Se immaginiamo le facce posteriori della rotula con una geometria complementare alla troclea femorale, possiamo meglio comprendere che, nel momento in cui la forza di compressione viene a ridursi, la rotula perde la sua stabilità, la sua intimità con il femore permettendosi di "galleggiare" e quindi di sbandare dove la componente del quadricipite decide di portarla.
Aumentare questa componente attraverso il quadricipite, anche quando fosse possibile un isolato rinforzo dell'azione del vasto mediale, porterebbe inevitabilmente ad un contemporaneo aumento della componente sbandante laterale.
Da qui l'idea di lavorare sull'azione dei muscoli posteriori della coscia andando a contenere un possibile incontrollato movimento di scivolamento anteriore della tibia, movimento che sappiamo essere di grande entità durante i movimenti di estensione del ginocchio.