La sindrome femoro-rotulea è caratterizzata da una algia in sede retrorotulea più spesso localizzata sul versante laterale della troclea femorale.
Dal punto di vista motorio, viene generalmente trattata attraverso una terapia fisica basata sul potenziamento della muscolatura della loggia anteriore della coscia (tradizionalmente iniziando con esercizi in catena cinetica chiusa e successivamente aperta) e in particolare tentando di coinvolgere le fibre muscolari del vasto mediale, con il tentativo di generare una componente sbandante diretta in senso mediale in grado di contrastare l’azione lussante che viene ad applicarsi sulla rotula durante la contrazione del muscolo quadricipite. L'angolo di valgismo fisiologico presente a livello del ginocchio infatti, fa si che la contrazione del quadricipite generi una componente laterale. Questa, se non contenuta da un versante laterale della troclea femorale sufficientemente prominente, può addirittura arrivare a dislocare la rotula al di fuori della sua sede.
L'elucubrazione di questo articolo, prende come presupposto l’ipotesi che lo sbandamento della rotula (quando non caratterizzato da un importante insufficiente contenimento anatomico del versante laterale della troclea -displasia-) non dipenda da una carenza dell’attivazione del vasto mediale ma, paradossalmente, da un’insufficiente componente di coattazione diretta posteriormente.
Questa minor componente potrebbe derivare da un micro slittamento anteriore della tibia durante il meccanismo di flessione o piegamento dovuto dall’insufficienza dei muscoli flessori della coscia. La riduzione di questa componente posteriore potrebbe essere all’origine dall’aumentata tendenza della rotula di andarsi ad appoggiare più lateralmente generando un conflitto articolare femoro-rotuleo in sede laterale.
E' innegabile rilevare che questo ragionamento va esattamente in senso opposto a quanto tradizionalmente inteso: la sidrome femoro-rotulea viene vista non come un eccesso di compressione ma come una carenza di compressione. Più precisamente direi una carenza di compressione organizzata perchè è evidente che una compressione non organizzata porta inevitabilmente ad una degradazione dei tessuti.
Se immaginiamo le facce posteriori della rotula con una geometria complementare alla troclea femorale, possiamo meglio comprendere che, nel momento in cui la forza di compressione viene a ridursi, la rotula perde la sua stabilità, la sua intimità con il femore permettendosi di "galleggiare" e quindi di sbandare dove la componente del quadricipite decide di portarla.
Aumentare questa componente attraverso il quadricipite, anche quando fosse possibile un isolato rinforzo dell'azione del vasto mediale, porterebbe inevitabilmente ad un contemporaneo aumento della componente sbandante laterale.
Da qui l'idea di lavorare sull'azione dei muscoli posteriori della coscia andando a contenere un possibile incontrollato movimento di scivolamento anteriore della tibia, movimento che sappiamo essere di grande entità durante i movimenti di estensione del ginocchio.
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